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Le Tradizioni

Il popolo santantimese ha sempre scandito il ritmo della sua vita, in una profonda religiosità e un forte attaccamento nei riguardi del santo patrono Antimo.

La mattina della domenica di Pasqua, si svolge un rito particolare il cosiddetto “ALZA BANDIERA DI SANT’ANTIMO”, lo stendardo è innalzato sulla facciata del Santuario dal lato della torretta con l’orologio, con questo gesto iniziano i festeggiamenti in onore del martire Antimo.

Altra giornata di grande folklore è quella del 10 maggio in questa giornata, tutta la città vive un momento di festa particolare e di grande espressione di fede nei confronti del Santo; si tratta della processione che partendo dal Santuario si snoda per le strade del centro storico e lungo il percorso la statua è portate in spalla dal popolo ed è preceduta da associazioni laicali e alunni delle scuole.

I festeggiamenti della festa patronale durano una settimana, in questi giorni sono rappresentati LA TRAGEDIA E IL VOLO DEGLI ANGELI, ma in particolare i cittadini aspettano ansiosi che la statua del Santo faccia visita alle loro case; quest’ultima è portata in spalla dai celebri “PORTANTINI”.

Le famiglie attendono con gioia questa visita che dura pochi minuti, durante la quale la statua è fatta soffermare sull’uscio delle case o dei cortili, vivendola come una speciale benedizione che il Santo porta alle loro case. Durante le soste, i fedeli sono soliti strofinare sulla statua fazzoletti per poi passarli su parti del corpo malate, questo è il rito dei “BRANDEA”, che avviene senza fanatismo ma solo con una piena convinzione della fede riposta nel Santo.

Il calendario liturgico antimiano termina il giorno 11 settembre, festa del Patrocinio, al termine di questa giornata la statua è riposta nella sua nicchia dove resterà nascosta fino al prossimo 10 maggio. Insieme al Santo vengono messi anche dei panetti, i quali dopo un anno resteranno ancora maturi. I cittadini di Sant’Antimo sentono vicino il loro protettore come un padre al quale confidare pene e angosce e a cui affidarsi totalmente nel momento del bisogno.

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La Tragedia e il Volo degli Angeli

La rappresentazione della tragedia di Sant’Antimo ha il suo apice nei giorni della festa patronale, nelle sere di domenica e lunedì è rappresentato il solo terzo atto che si conclude con il martirio di Antimo tramite decapitazione, la scena finale ha la sua apoteosi nel tradizionale volo degli angeli: due bambine, vestite da angeli, percorrono la lunghezza della piazza appese ad un filo, per poi essere calate dinanzi al palco dove recitano una poesia al Santo, dopo aver recuperato la testa mozzata tornano indietro. Questo è uno dei momenti più emozionanti della festa. La tragedia è recitata su un palco innalzato ai piedi del Palazzo Baronale, la recita è portata ogni anno in scena da un gruppo di cittadini, i costumi indossati rimandano all’epoca in cui si svolgono i fatti narrati ma l’iconografia di Antimo ci riporta alla contemporaneità. L’interpretazione di alcuni personaggi sono addirittura eredità di alcune famiglie che se le tramandano di padre in figlio come il personaggio del Boia. Il testo recitato è datato 1929 scritto dal Campanile.

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Tra miracoli e tradizioni

L’11 maggio oltre ad essere giorno di festa per i Santantimesi è anche un giorno di primaria importanza per il miracolo avvenuto l’11 maggio del 1862. In questa solenne data, durante il tradizionale volo degli angeli mattutino, le funi sulle quali poggiavano i corpi delle bambine cedettero e si era vicini ad un’imminente tragedia…ma così non fu. Grazie all’intercessione del Santo protettore le bambine restarono in bilico e furono salvate poco dopo. Quest’evento segna, ancora una volta, il grande amore che il popolo ha nei confronti del Santo; il quale veglia costantemente sulla vita dei suoi cittadini; a testimonianza di questo miracoloso evento all’interno della navata destra del Santuario è collocata una tela di Gabriele Arenare in cui vi è rappresentato il miracolo stesso.

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La sagra della noce

Ogni anno a Sant’Antimo nel periodo compreso tra ottobre e novembre vi è la caratteristica SAGRA DELLA NOCE, che si svolge all’interno della villa comunale. Durante i due giorni dedicati alla scoperta e alla rivalorizzazione della noce, si svolgono attività proposte dagli studenti delle varie scuole di Sant’Antimo, accompagnando il tutto con la degustazione di prodotti tipici il cui elemento principale è, appunto, la noce.

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Da dove nasce questa devozione per le noci?

Fin dagli anni ’20 Sant’Antimo è stato promotore della produzione e lavorazione delle noci, con l’attività industriale sulla quale si era retta l’economia di tutta la città. Le noci di Sant’Antimo sono motivo di vanto per i cittadini, per l’apprezzamento della loro altissima qualità in tutta Europa. All’interno delle fabbriche vi era una prevalenza di lavoratrici femminili, questo offriva all’imprenditore il vantaggio di una manodopera a costi minimi; la retribuzione delle donne era inferiore a quella degli uomini, un principio universalmente accettato e condiviso all’epoca. Ogni azienda santantimese aveva un sistema operaio basato su 60 dipendenti e più, e avevano una dimensione di tipo familiare, erano l’imprenditore e la moglie ad organizzare il lavoro aiutati dai figli. A questo proposito leggiamo ora le testimonianze arrivate fino a noi delle varie massaie santantimesi:

ANTIMINA DICE:

“La noce era come il maiale, non si buttava niente. Le scorze sono un buon combustibile ed erano molte richieste in particolare dai fornai o per il riscaldamento delle abitazioni. Era un particolare di lavorazione all’ora possibile perché il lavoro delle operaie costava pochissimo; oggi quel lavoro non si pratica più e le scorze vengono buttate via”

MARIA DICE:

“Ai lavori di fatica, ai lavori di carico e di scarico della merce provvedevano i maschi, ma anche noi donne davamo una mano; quante volte io stessa, che sono un filo d’erba, ho dovuto dare una mano alle altre compagne. Mi sentivo stremata ma la fame fa diventare lupi, ma nel nostro caso ci aiutava a sentirci fratelli, parte di una sola famiglia”

CECILIA DICE:

“Io facevo la sgusciatura delle noci a domicilio, questo ti liberava la mente da molte preoccupazioni e ti dava la possibilità di avere le vicende di casa sotto controllo. Eri presente e avevi sott’occhio i tuoi figli e potevi facilmente richiamarli oppure potevi concederti pause per controllare la cottura dei cibi. Invece quando ero in fabbrica la mia mente era spesso fuori: a casa, ai miei figli, e a mio marito. Con il lavoro a domicilio avevi maggiore serenità sotto questo aspetto, perché le cose le avevi sotto mano e c’era meno spazio per l’immaginazione di cui erano cattive ispiratrici la lontananza e la preoccupazione”

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Cremore di tartaro

Un lievitante usato in pasticceria dalle nostre nonne, molto in voga fino agli anni ’50 è il CREMORE DI TARTARO. L’industria più fiorente per la produzione del cremore di tartaro si trovava a Sant’Antimo, il cremore proviene dalla fermentazione del vino ed è strettamente legato alla dinastia dei Borbone. Nel 1781 Ferdinando IV di Borbone costruì a Napoli la prima fabbrica di cremore di tartaro, ma secondo alcune testimonianze a Sant’Antimo le fabbriche esistevano già nel 1615; Sant’Antimo divenne un polo chimico di prima importanza e non c’era famiglia che non fosse coinvolta nella produzione del lievito, al punto che il cremore di tartaro venne anche chiamato IL CRISTALLO DI SANT’ANTIMO. Con l’avvento delle nuove attività industriali, l’industria del cremore di tartaro entrò in crisi, fino a scomparire del tutto.

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